Concime è un’antologia di voci pensanti che si completano a vicenda come se fossero tasselli di un mosaico, riflettendo sulla condizione in cui ci troviamo. Il primo capitolo ripercorre i passaggi di una chiacchierata fatta con Diego Passoni, conduttore radiofonico, e il biblista fra Roberto Pasolini.
Il tempo di pandemia porta a fare una dolorosa presa di coscienza della realtà. Con le norme di sicurezza, ci sono stati restituiti dei limiti, ovvero quello che la società odierna non tollera. Tuttavia, questa può essere una terapia d’urto per riflettere sulle condizioni che ci sembrava di vivere ma che non erano reali. Ciò costringe a chiedersi se si è disposti a mettere in discussione le vecchie abitudini e disegnare uno scenario migliore per il futuro.
Verità e morte
Quella che pensavamo fosse vita vera, era invece una bolla. Ci sono certezze che abbiamo avuto e verità che abbiamo voluto evitare. Le grandi rimozioni del nostro tempo sono essenzialmente due: la morte e l’idea di una verità da cercare insieme.
Lo sfruttamento folle della natura ci sta portando alla morte. Il virus è anche colpa del modo scellerato con cui abbiamo consumato il pianeta, seguendo un’illusione di benessere e guadagno a tutti i costi, e ora è la natura a ribellarsi alle nostre interpretazioni. Ma la morte è anche ciò che permette alla realtà di rigenerarsi, diventando occasione di vita.
Ricominciare a guardare
Oggi molte cose sono date per scontato. C’è una generazione di adulti che, nata dopo la guerra, si è vista garantire gran parte dei diritti fondamentali e forse è lì che si sono iniziati a vedere con ovvietà molti aspetti del reale.
Quando dai per scontato qualcosa, non la guardi neanche più, lasciandola sguarnita. Non curandola, qualcun altro può prenderla e gestirla come vuole. Nessun diritto deve essere dato per scontato, perché ci può essere tolto dall’oggi al domani.
È quindi importante educarsi alla meraviglia e allo stupore quotidiano. Al contempo è anche necessario avere una maggior consapevolezza. Questo periodo di pandemia ci ha svegliato da una sbornia. Ci ha messi di fronte al fatto che siamo mollemente seduti su degli usi che non sono fondamentali per vivere. Mai come in questo periodo la gestione dei comportamenti umani è fondamentale.
Tornare alla realtà
La pandemia ha messo tutti sulla stessa barca: siamo fragili, vulnerabili, prossimi a morire. Il diritto che sta a monte di tutti è quello di far parte di un corpo e da questo l’umanità deve ripartire.
I testi sapienziali della Bibbia erano quelli che si leggevano di più nei tempi di crisi. Uno di questi è il Qoèlet, conosciuto per l’incipit havel havalim, “vanità delle vanità”, “assoluto vapore”. È un libro che ci offre due insegnamenti: imparare a godere di quello che c’è e temere Dio. Quest’ultimo è un concetto che si può rendere laico e intuibile da tutti guardandolo come il rispetto della vita. Quello della Bibbia è appunto un Dio vivente e in continuo divenire. Temere Dio significa lasciare una pagina bianca e permettere alla storia e alla realtà di aggiungere ciò che noi non siamo in grado di scrivere. Sono questi i registri che erano saltati. La nostra società viveva un godimento bulimico ed eravamo al centro di tutto, senza che ci fosse spazio per una rivelazione.
Oggi si vive molto più di testa che non di corpo e c’è bisogno di tornare alla realtà. C’è un continuo giudizio sugli altri e su noi stessi, guardando a modelli ideali che non appartengono a questo mondo. Questo momento storico è provvidenziale perché mette in discussione queste attitudini riportando in campo ciò che di più sicuro e reale si presenta nella nostra vita: la morte.
La logica del confronto
Il confronto è una trappola tremenda e la Bibbia lo racconta nella vicenda di Caino e Abele. Si tratta di due fratelli che, in un certo momento, fanno un’offerta a Dio, il quale decide di posare lo sguardo sul dono di Abele. Caino allora si confronta con il fratello in un rodimento che diventa invidia. Qui c’è il sospetto di non essere mai preferiti, che Dio guarda l’altro e non me. Il nome Caino deriva da “acquistare” e a lui si può accostare una logica che vede il lavoro come ricchezza e successo. Questo assomiglia molto al modo con cui oggi si concepisce lo stare bene: la celebrazione dei successi e l’ideale del self-made man. La parola Abele, invece, vuol dire “soffio”. Abele si riconosce come un soffio e ringrazia per quello che Dio gli ha dato nonostante egli non sia niente nella storia.
Abele offre le primizie del suo gregge e Caino i frutti della terra. È come se mentre Abele cucinasse la carne con passione, Caino comprasse su Amazon. Quel regalo impersonale di Caino corrisponde all’immagine mediocre che egli ha di se stesso, pensando di non valere niente. Se non si riesce a entrare nella vita, si cade in un pericoloso sguardo negativo su se stessi e sugli altri che rende aggressivi e vittimisti.
Prima dell’uccisione di Abele, Dio dice a Caino che potrà vincere sul peccato. Non si tratta di una promessa o di un’imposizione, ma di una scelta. Anche noi, oggi, abbiamo la libertà di scegliere. Tuttavia, c’è anche una responsabilità per la quale dobbiamo farci carico delle nostre parole e delle nostre azioni.
Responsabilità
Adesso abbiamo la responsabilità di mettere la colonna sonora giusta al mondo che dobbiamo costruire. Non ci devono più essere figli di un dio minore. Queste convinzioni nascono durante l’infanzia: uno diventa Caino a furia di non essere mai riconosciuto nella sua unicità.
Dobbiamo smettere di essere una società massificata che cataloga velocemente e mettere invece al centro la persona. È necessaria una cultura che permetta a ciascuno di fare il proprio percorso con dignità, senza imbarazzarsi e senza mettere in imbarazzo gli altri. Il lavoro è tanto e ci vorrà del tempo, ma questo momento è un importante spartiacque.