Radio IULM ha chiesto ai professori Stefano Vallauri e Paolo Giovannetti un commento professionale sull’album Bloody Vinyl vol. 3 (BV3), uscito il 2 ottobre.
Questo mixtape nasce dalla collaborazione di quattro artisti della scena italiana (3 producer e 1 dj): Tha Supreme, Young Miles, Low Kidd e Slait.
Negli anni precedenti sono usciti: Bloody Vinyl vol. 1 (2012) e Bloody Vinyl vol. 2 (2015), prodotti entrambi da Slait.
La novità quest’anno, arrivati alla terza stagione del mixtape, è la collaborazione tra più producers.
Secondo lei è un’idea innovativa la collaborazione tra tre produttori e un dj?
P.G: Mah, certo, però l’impressione è che ci siano troppi stili, non sempre compatibili fra loro.
25 artisti, un unico album
A collaborare in quest’album troviamo 25 artisti (cantanti e beatmaker), noti nella scena urban nazionale e internazionale.
Le collaborazioni sono delle più disparate. A partire dalle pietre miliari della musica rap italiana, ed esempio Fabri Fibra e Salmo, agli emergenti.
Artisti di calibro nazionale e internazionale, come Davido, cantante e produttore discografico statunitense naturalizzato nigeriano.
Per poi giungere a collaborazioni più tecniche, come nel caso di Greg Willen e Sick Luke, producer anche loro, che hanno lavorato alla riuscita di alcuni pezzi.
La presenza di 25 artisti, chiamati a interpretare musicalmente basi prodotte da loro è un aspetto originale o, secondo lei, un flop, non essendoci effettivamente un unico cantante dell’album?
P.G: Da quello che capisco dalla Rete, mi sembra un successo, perché c’è tanta curiosità.
S.V: Il successo è un dato numerico che dipende da molte variabili imponderabili. In quest’album il numero alto di cantanti ha certamente impedito l’attrattiva di un unico cantante, che spesso è una componente del successo.
Bloody Vinyl vol. 3 è caratterizzato da uno o più generi?
P.G: Una quantità di stili persino eccessiva. Mi pare un’antologia di stili.
S.V: Il genere è alquanto omogeneo, anche se è palese una varietà di influenze, inevitabile quando si chiamano più cantanti. Tutti gli artisti appartengono allo stesso genere, il rap, ma sono influenzati da vari generi, e di conseguenza sono diversi nello stile, nella maniera di rappare.
La partecipazione di più artisti, tutti con timbri e stili differenti, è un punto a favore o a sfavore per l’omogeneità dell’album?
P.G: A sfavore, mi sembra ovvio.
S.V: A favore. Infatti in quest’album non vedo tanta eterogeneità. In realtà mi sembra compatto, quindi menomale che è presente questa varietà.
Secondo lei chi è l’artista che meglio si è distinto? E per quanto riguarda le tracce, ce n’è una che spicca per maestria e originalità?
P.G: Quando sento Fabri Fibra e Jake La Furia sono sempre contento. Ma sono vecchio…
S.V: Gli unici cantanti che si sono veramente distinti in questo mixtape sono Nitro e gli altri cantanti del brano 5G (Fabri Fibra e Jake La Furia) e un po’ Taxi B in MACHETE SATELLITE.
I beat
Le sonorità presenti in Bloody Vinyl vol. 3 sono innovative al punto giusto o eccessivamente moderne?
P.G: Non mi sembrano particolarmente innovative, ma intelligenti sì. Si sente comunque un gran lavoro.
S.V: Il ‘punto giusto’ dipende dai criteri di valutazione del singolo ascoltatore e secondo i miei non è presente alcuna sonorità nuova e particolare.
La mia impressione anzi è che non siano abbastanza nuove!
I bars
Bloody Vinyl vol. 3 è caratterizzato dalla presenza di tre bars, antica forma musicale dove ogni stanza segue lo schema AAB.
Contiene infatti due ripetizioni di una melodia (Stollen – ‘stanze’), seguita da una melodia (Abgesang – ‘dopo-canzone’).
In questo mixtape sono denominati per l’appunto bloody bars e sono: studiomob , locked, drilluminazione.
Secondo lei è giusto inserire i bars in un album, data la loro coincisione e la loro poca lunghezza?
S.V: Perché no? Sono presenti materiali che contrastano gli uni con gli altri ed è positivo che ci siano forme diverse nello stesso album. Infatti, non sono favorevole ad album con l’esclusiva della forma strofa/ritornello(/bridge).
I beat si presentano ingegnosi come quello di Bloody Bars – studio mob, dov’è stata utilizzata come base la sigla di Studio Aperto, melodia che ha accompagnato i nostri pasti per anni.
È un aspetto innovativo il fatto di utilizzare una sigla conosciuta in tutta Italia, da anni e anni, a livello psicologico/commerciale?
P.G: Non vedo cosa ci sia di innovativo. A me sembra che faccia parte dello stile di questa musica provocare anche con l’uso di materiali preesistenti, quindi tutto bene, ma nessuna vera innovazione.
S.V: Si tratta semplicemente di un campionamento: l’utilizzo di suoni preesistenti (più o meno socialmente conosciuti). È una pratica costitutiva del genere, non un aspetto innovativo di quest’album. Solo l’uso di questo particolare campione mi risulta nuovo.
Inoltre il professor Stefano Vallauri ha voluto aggiungere una precisazione: “L’aspetto che mi ha irritato personalmente in questo album è il sessismo che dai temi si riflette nelle strutture, perché ancora assegna all’uomo le parti rap e il dominio nella coppia, invece alla donna le parti melodiche e sentimentali succubi”.
Collaborazioni inusuali, particolari, ma vincenti quelle presenti in Bloody Vinyl vol. 3, che hanno mosso molto scalpore e curiosità. Queste hanno fanno del mixtape un luogo di divertimento e innovazione, con l’intreccio sonoro di beat e timbri vocali particolari e differenti tra loro che sono riusciti ad estasiare la critica, il pubblico e i fan.