Il 17 settembre c’è stato un incontro tra MITO e MILANoLTRE, festival dedicati il primo alla musica e il secondo alla danza. Lo spettacolo TOCCARE the white dance è nato come luogo incontro tra linguaggi artistici differenti ma complementari, tra concerto e performance.
Si tratta del lavoro a quattro mani del compositore Ruggero Laganà e della coreografa Cristina Kristal Rizzo. L’origine del processo creativo è nei brani dei Pièces de clavecin di Jean Philippe Rameau, con dei successivi sviluppi che hanno portato l’opera a respirare di vita propria.
Toccare
Il toccare è un gesto che da sempre ha caratterizzato il quotidiano. Toccare è manifestare una presenza e suggerire intimità, ma è anche stringere, strozzare. La pelle altrui può essere sfiorata o battuta. L’apprendimento tattile è ciò che permette ai bambini di muoversi nel mondo e capirlo.
Da mesi ci è vietato di toccare. Questo ci ha privati di una vicinanza il cui bisogno ha ridefinito la percezione che si ha di questo gesto. Toccare l’altro è tutt’altro che banalità, è una modalità di comunicazione che si esprime in una moltitudine di registri. I due che si toccano fanno vibrare l’aria che li circonda.
Uno spazio intimo
Il segreto del fascino di TOCCARE the white dance è la semplicità. Sul palco del teatro milanese Elfo Puccini ci sono corpi e strumenti, poco altro. Il minimalismo dei costumi valorizza i gesti e le visioni astratte. È l’arte del togliere che crea un’atmosfera di intimità, trascinando lo spettatore fino al nucleo della delicata fragilità della persona. Persona che è innanzitutto ricerca e relazione.
Il clavicembalo di Laganà ha un suono dalla patina antica che trasporta in una realtà parallela e metafisica. Questo strumento è caratteristico della musica da camera, dedicata ad ambienti privati. La musica di Rameau si moltiplica con l’aggiunta delle percussioni (Elio Marchesini) e dei flauti (Antonella Bini), che partecipano alla creazione di atmosfere. Lo spazio si allarga, ma sempre in una dimensione intima e profonda.
Il valore del movimento
Lo spettacolo è un insieme di suggestioni astratte e oniriche. Lo spazio prende vita ma è sempre un posto della mente, un non-luogo in cui i danzatori studiano ciò che li circonda. I corpi sono eterei, leggeri, sinuosi, ma anche pesanti. C’è un movimento continuo tra la dimensione della terra e quella dell’aria, tra i salti e le ricadute a terra, tra la dinamicità e la lentezza del movimento. Rizzo ci mostra una nudità che non si vergogna di mostrarsi all’altro per quello che è e per quello che può dare.
Annamaria Ajmone, Jari Boldrini, Sara Sguotti, Kenji Paisley-Hortensia e la stessa Rizzo si alternano sul palco in assoli, duetti e corali. A fare da fil rouge tra i vari momenti è la valorizzazione del gesto e della posa, enigmatici ma allo stesso tempo così pregni di forza.
Oltre la logica
I meccanismi cognitivi si basano su uno schema narrativo che prevede la sequenzialità e la riconoscibilità di una storia. Per questa ragione quando inizia uno spettacolo si è soliti a cercare questa struttura in ogni dettaglio. TOCCARE the white dance parla un linguaggio differente, si muove su un altro livello di pensiero. Rizzo e Laganà aprono una finestra sulla dimensione del sogno. Le visioni si susseguono, apparentemente senza un criterio logico. La libertà artistica e creativa sta in questo: andare oltre e superare le barriere delle convenzioni.
Prima del buio che sancisce la fine dello spettacolo viene regalata agli spettatori un’ultima, potente immagine. Due corpi seminudi che uno a sostegno dell’altro puntano verso l’alto, verso un oltre raggiungibile solo grazie al contatto tra i due fisici. A tutti noi, che spesso ci arrovelliamo nella necessità di comprendere, categorizzare e ordinare: ciò che ci sta dinnanzi non sempre va capito, non subito. Prima bisogna accoglierlo.