È il 26 aprile del 1986, l’1:23 di notte. A Chernobyl, in Ucraina il reattore 4 della centrale nucleare esplode e il fuoco squarcia il cielo buio. Le fiamme e il fumo sono fosforescenti.
Gli abitanti della vicina cittadina di Pryp”jat’ guardano ammirati dal ponte della ferrovia, il ponte della morte. La cenere cala inesorabile su di loro, come un presagio. Non si tratta infatti solo di fiamme, nè di una semplice notte. Le sue conseguenze investiranno tutta la storia successiva.
Emergenze che richiamano altre emergenze
Chernobyl è uno di quegli avvenimenti che tutti ricordano. I miei genitori, come tutta la gente della loro età, provano un fascino irresistibile per quella notte di cui sono stati protagonisti marginali.
Le radiazioni derivate dall’esplosione dopotutto sono state trasportate dai fenomeni atmosferici non solo in tutta Europa, ma in tutto il mondo. Le persone erano costrette a chiudersi in casa, a non raccogliere frutta e verdura dal proprio orto, a fare incetta di scatolame e prodotti surgelati durante alcuni giorni.
Una situazione distante? Non troppo. Chissà se anche noi guarderemo così a questi giorni di Coronavirus? Le analogie sono molte e probabilmente è per questa ragione che necessitiamo di appellarci alla memoria e al racconto per elaborare il periodo che stiamo vivendo. Proprio in questo senso la miniserie del 2019, targata HBO e Sky, di Craig Mazin e Johan Renck ci dà una mano.
Conoscere lo spirito della storia
Sono passati 34 anni da quel fatidico 1986. Le conseguenze dell’esplosione si avvertono però tuttora. Sono infatti di qualche settimana fa le notizie degli incendi che hanno consumato le zone vicine all’ex reattore nucleare.
Gli spettri della storia tornano a turbarci sotto forma di fumo nero anche in questa quarantena. Dunque, perchè non sfruttare questo periodo di confinamento insieme a servizi di straming e on demand per conoscere meglio le sue vicende?
Oltre all’aderenza storica e all’eccezione di alcune licenze artistiche dichiarate, il merito della miniserie di HBO è quello di restituire lo spirito degli anni ’80 nell’Unione Sovietica.
La quotidianità vissuta in un regime di casermoni grigi e quote di produzione. Il miraggio di superare e inseguire l’occidente tecnologico al di là. La scienza che deve fare i conti con la negazione della verità e il terrore di ammettere le proprie debolezze.
Vestiario e atti crudeli
La ricostruzione di Mazin e Renck è minuziosa. Dai luoghi ai vestiti pare costruire un’atmosfera, tossica quanto le radiazioni, che seduce e ingloba lo spettatore.
La colonna sonora è in costante attesa, non riuscendo mai ad accogliere la tragedia anche degli atti più crudeli e di quelli già predestinati. Il ritmo è disteso, analitico. Anche quando le situazioni si fanno drammatiche, la frenesia è filtrata dalla disperazione di conoscere già la fine.
Non è un caso che i primi minuti della serie si ambientino nel 1988 e mostrino gli ultimi minuti della vita di Valerij Legazov, il fisico nucleare che ha limitato i danni del disastro.
Perchè la serie Chernobyl ci aiuta a riflettere?
Chernobyl, al di là del suo indubbio valore registico, ci aiuta a riflettere. Sulla storia e su noi stessi. Più di tutto sul concetto di responsabilità.
Dopotutto, all’ombra delle grandi tragedie della storia tendiamo a farci sempre la stessa domanda: di chi è la colpa?
Solitamente ci sono sempre degli attori poco lungimiranti o troppo preoccuati di ottenere qualche beneficio a breve termine. A Chernobyl il processo ci ha consegnato i dirigenti della centrale, Anatolij Djatlov, Viktor Bryukhanov, Nikolai Fomin.
Gli avvenimenti capitali non sono quasi mai però merito o colpa di qualcuno. Quanto di processi. La miniserie di HBO questo tenta di renderlo in modo chiaro, evidenziando il più importante, quello della conoscenza.
Sapere non è tacere
Proprio Chernobyl sarebbe stata secondo l’ex leader sovietico Michail Gorbačëv la miccia che ha fatto tramontare l’impero dell’Urrs tra il 1989 e il 1992.
Non tanto per la portata immane della tragedia, o per il numero infinito delle vittime, che anche oggi la Russia continua a considerare solo 31. Quanto perchè, in seguito al suicidio di Legazov, ripudiato dal Partito Comunista del Regime, la comunità scientifica ha deciso di diffondere le scoperte relative alle falle nel sistema tecnologico delle centrali sovietiche.
Dunque, il fisico nucleare russo (Jared Harris) e i suoi collaboratori, incarnati tutti dal personaggio fittizio Ulana Khomyuk (Emily Watson), sono diventati il simbolo della responsabilità scientifica. Boris Ščerbina (Stellan Skarsgård), delegato del governo a Chernobyl, insieme a Legazov, ha incarnato invece quella politica.
Entrambe hanno abbattuto il muro di cecità e celamento, che purtroppo ci ricorda ancora la nostra situazione attuale. Hanno rivelato che sapere non può essere tacere.