Tutto il mio folle amore: il nuovo film di Gabriele Salvatores

In quest’ultimo periodo si può dire che il rapporto padre-figlio sia uno dei tratti più ricorrenti nella programmazione delle nostre sale cinematografiche.

Un rapporto analizzato secondo più registri. Dal padre mai visto, ma di cui si sentono i peccati e l’assenza (Joker di Todd Phillips), fino al padre protettivo e sempre vigile di Casey Affleck in Light of my life, in uscita nelle nostre sale il prossimo 7 novembre.

Nel caso di Tutto il mio folle amore, vediamo il ritorno al road movie di uno dei nostri registi più coraggiosi ed eclettici, Gabriele Salvatores. Con un film solamente ispirato da una storia vera, ma che nella trasposizione del regista si rinnova completamente. E al centro di questa, di nuovo, un padre e un figlio.

Padre e figlio

Stimolato dalla vera storia di Franco e Andrea Antonello, il regista parla nel film di Vincent, ragazzo affetto da autismo e disturbo della personalità fin dalla nascita. Interpretato da un esordiente quanto convincente Giulio Pranno. Lui vive insieme alla madre Elena, nei panni della quale troviamo Valeria Golino, e il padre adottivo Mario, con Diego Abatantuono a impersonarlo.

Quest’ultimi si danno il cambio nel gestire il ragazzo, tra la mamma che lo accompagna a fare dei giri su cavallo a Mario, editore di successo, che gli legge Storia di Arthur Gordon Pym di Edgar Allan Poe per calmarlo. Vincent ha sedici anni e non ha mai visto il suo papà. Il perchè gli sarà spiegato proprio da Willi, suo padre, interpretato da Claudio Santamaria, che una sera entra in casa di nascosto, desideroso di vederlo prima di partire per un tour nei Balcani, essendo cantante neomelodico.

Inizialmente respinto, giustamente, per aver abbandonato Elena incinta sedici anni prima, si ritroverà Vincent nascosto in macchina, dopo la partenza. Per quanto squattrinato e inaffidabile, però, Willi, pur con qualche incidente di percorso, si dimostrerà adatto per badare al ragazzo.

Sarà l’occasione per parlare, scontrarsi, conoscersi e abbracciarsi. Per far provare a entrambi ciò che Willi per anni non ha voluto e di cui ha avuto paura. In un viaggio tra Slovenia e Croazia con strade sterrate, camper che cadono a pezzi e comunità sgangerate, il viaggio che affronteranno i due porterà anche Elena e Mario, alla ricerca di Vincent, a compiere un viaggio che non sarà solo fisico.

Claudio Santamaria e Giulio Pranno in una scena del film

Viaggi

Un cammino nel vero senso della parola, che a tratti sembra essere più grande dei personaggi. Impossibile da compiere, destinato a non finire mai. Non sarà certo una coincidenza se il film si apre con una famosa citazione di Albert Einstein:

“La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso”.

Albert Einstein

Segno che fa pensare ai personaggi, che, nonostante le difficoltà proprie e interpersonali, riescono a uscire dalla vicenda migliori di prima, più consci di se stessi. Non arrendendosi mai, come Willi e Vincent quando rimangono a piedi di notte in mezzo al nulla. E come Elena, che gira in lungo e in largo per ritrovare suo figlio.

Il tutto pur con alcuni spezzoni privi di quella profondità che, forse, Salvatores vorrebbe dimostrare e in cui i personaggi sono catapultati. Mantenendo però sempre, come in alcuni suoi film di inizio carriera, quell’intento di avvicinamento spirituale tra persone attraverso la fuga, lo spostamento continuo. Un viaggio utilizzato come mezzo per raggiungere la piena scoperta dell’altro e di sè stessi. Verso una destinazione, nelle ultimissime immagini, tutt’altro che predefinita.

Presentato al Festival del cinema di Venezia, adesso al cinema.

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