Una voce calda e poderosa in una fisicità che non potrebbe addirvisi meglio. Gregory Porter attira gli sguardi su di sé, è inevitabile. Fosse solo per quel chiacchieratissimo copricapo..
Quando si chiude una porta, si apre un portone
Non nasce artista, nasce atleta, un atleta dotato peraltro.
Costretto ad abbandonare la San Diego State University per un provvidenziale incidente alla spalla, si stabilisce a Brooklyn, dove la sua quotidianità da cuoco-musicista viene interrotta da un inaspettato incontro. Lui è Kamau Kenyatta, pianista e compositore che lo guiderà sulla via di un genere autoriale ed emozionante, quello che poi Porter perseguirà attraverso composizioni come Hey Laura o Liquid Spirit.
Non si può dire, d’altro canto, che non abbia saputo sperimentare: dall’iniziale collaborazione con il flautista Hubert Lawsfino alla creazione di uno dei suoi brani più conosciuti, Holding On, concepito insieme ai Disclosure, duo britannico di musica elettronica.
Radici e tributi
Un artista eclettico e sorprendente, dal punto di vista musicale quanto personale: basti pensare al divario presente tra le sue radici musicali e alcune delle collaborazioni portate avanti negli anni.
Da piccolo, spulciando tra i vinili materni, scopre Nat King Cole che considererà sempre un po’ come un padre. Forse a causa del fatto che quello biologico, di padre, non si è mai dato troppo da fare per dimostrare di esserlo.
Per Cole sviluppa una vera e propria venerazione, ne studia le composizioni e i testi e arriva, chissà se per doti naturali o per osmosi, ad ottenerne il timbro. L’amore per Nat King Cole raggiunge il proprio compimento nel disco pubblicato nel 2017, Nat King Cole & me, contenente moltissime cover dedicate all’artista, dalla celeberrima L-O-V-E a Smile, passando per perle come Nature Boy.
Smile, though your heart is aching
Gregory Porter sprizza positività da tutti i pori, ha l’aria di chi non può che vedere il bicchiere mezzo pieno, nella vita come nella musica.
Avrebbe tutte le ragioni per prendersela: dal padre assente ai vicini di casa razzisti che vessavano la famiglia.
Eppure, pur sfogando il dolore che l’ha tormentato e ancora lo tormenta, è in grado di concludere ogni testo con un messaggio di speranza.
Ne è un esempio Don’t lose your steam, tratta da Take Me To The Alley, album pubblicato nel 2016.
Questo incalzante singolo, che ha fatto da aprifila al disco, è dedicato al figlio. In un’intervista, parlando della propria infanzia e delle difficoltà che è stato costretto a superare, ha rivelato di aver intenzionalmente aspettato ad avere un figlio poiché sperava che convinzioni popolari, seppur assurde come la supremazia di una razza sulle altre, sarebbero sparite col succedersi delle generazioni.
Boy, I didn’t make it too far, but baby you are
The family star
I’ll tighten your seams
Don’t lose your head of dreams
Boy, you hear me calling your name
The bridge is your time
Your engine rolls hot
If the bridges fall down, don’t lose your head of steam
Don’t lose your steam è un inno alla libertà di essere fieri di chi si è e al coraggio di non lasciarsi schiacciare. Porter, come Atlante, si presta a reggere sulle proprie spalle il suo mondo: suo figlio.
Un inno ricco, dolce e speranzoso.
La stessa speranza che riponiamo noi, sostenitori della sua musica, in Gregory Porter, che possa continuare a stupirci e deliziarci con la sua voce senza mai “lose the steam”.