A Galla n. 1 – Domenica 20 Ottobre 2019
Venni invasato dalla più ardente curiosità rispetto al vortice. E provai realmente il disio, l’intenso disio d’esplorarne i suoi profondi abissi, dovesse pure esserne prezzo il sacrificio di me stesso.
(Edgar Allan Poe – Una discesa nel Malestrom)
Sopravvivere al Malestrom dell’informazione è possibile, ce ne rendiamo conto ogni giorno, quando bombardati da una tempesta continua di news, tweet, tg, post e dichiarazioni, riusciamo a risalire la china, a comprendere il verso delle correnti e a trarre le nostre conclusioni. Certo è che il mare si agita e rischia di inondare i pensieri di chi, per scelta o impossibilità, viene risucchiato troppo spesso dal vortice dell’informazione.
La conta (delle vittime) intanto sale in Siria, dove da giorni le milizie turche avanzano contro il popolo curdo, reo di aver combattuto a lungo lo Stato Islamico, e per questo abbandonato a se stesso dopo il ritiro dalle truppe statunitensi.
A questa vicenda dedico il primo numero di A Galla, una rubrica settimanale, nata per raccontare la politica e l’attualità esplorandone i più ‘profondi abissi’.
Con buona dose di ossigeno e una maschera per riconoscere fake-news e per scampare agli squali della #propaganda.
Orientarsi in un mare sempre più agitato è indispensabile per capire ‘chi siamo’ e ‘dove stiamo andando’. Il desiderio di conoscere potrebbe accecare, togliere ogni facoltà di operare e riflettere. Dunque occorre aggrapparsi, come il protagonista del racconto di Poe, alla propria barca (la conoscenza), comprendere fino in fondo il senso delle cose per ritornare in superficie e provare a raccontarle.
Le bombe sui curdi, le parole alla diplomazia
Siria: dopo giorni di scontri aerei e via terra tra le milizie curde e quelle di Ankara, si raggiunge la tregua. Parte il countdown, cinque giorni di cessate il fuoco in cui Usa e Turchia si giocano tutto, persino la credibilità della Nato (come sostengono da Parigi).
Le immagini che arrivano da Anha (fonte ufficiale di informazione e agenzia delle forze democratiche siriane), fanno il giro del mondo. Il sospetto, secondo fonti curde, è che le milizie turche e gli alleati siriani abbiano utilizzato armi non convenzionali vista la dura resistenza messa a punto nella città di Ras al-Ayn.
In una nota, l’Amministrazione autonoma curda attacca Erdogan: “sta ricorrendo ad armi come il fosforo e il napalm”. Mentre Ankara smentisce: “l’esercito turco non ha armi chimiche nel suo inventario”.
Intanto, i medici del Rojava Heath Board curano ferite non comuni e chiedono l’intervento delle autorità internazionali. Secondo Amnesty International, i bombardamenti potrebbero aver coinvolto civili, ambulanze e ospedali.
I curdi si trovano adesso accerchiati nel centro urbano di Ras-al-Ayn dopo nove giorni di scontri. La tregua arriva tardi, quando Erdogan ha già ottenuto ciò che voleva.
L’accordo tra Usa e Turchia prevede che i curdi lascino la “safe zone“, una striscia di 30 km dal confine. Non è chiaro però se la zona si riferisca al confine di guerra fra Ras-al-Ayn e Tal Abyad o all’intero confine turco-siriano, molto più esteso.
In questo modo svanisce il sogno curdo, e quello di Rojava, enclave autonoma e indipendente costruita negli anni grazie alla lotta contro l’ISIS. Una guerra a cui gli States avevano giurato fedeltà e che adesso sentono il dovere di abbandonare. Una strategia sbagliata, quella di ritirare le proprie truppe. Scelta che Trump ha pagato, lasciando i curdi in balia di Erdogan, delle milizie sunnite siriane e delle forze armate di Assad.
Sono ore accese e l’Europa, se pur non in maniera compatta, cerca una mediazione. Parigi rilancia la possibilità di un incontro a quattro con Macron, Merkel, Johnson e lo stesso Erdogan, da tenere a Londra.
Il premier Conte segue la vicenda e definisce “inaccettabile” il ricatto all’UE messo in atto da Erdogan, che minaccia di riaprire ai migranti siriani le porte di accesso all’Europa. Si parla di poco più di 3 milioni di siriani in fuga dal proprio Paese.
L’ora della diplomazia è già scoccata, rimane da capire se l’Ue giocherà un ruolo chiave nella trattativa. Di una cosa siamo certi: delegare a Erdogan la risoluzione del problema migratorio si è rivelata una scelta fallimentare.
Un errore dispendioso (ben 10,6 miliardi, fondi destinati alla Turchia per un piano che va dal 2002 al 2020) a cui aggiungere il bilancio, in crescita, di combattenti e civili.