Immenso e sopra le righe: a meno di un mese dall’uscita italiana, il nono film del Maestro è già cult (forse)
Sharon con gli stivali di pelle bianchi, Rick in dolcevita, Cliff e i suoi inseparabili occhiali da sole. I tre protagonisti della Hollywood di Quentin Tarantino sono le icone immortali di quello che è destinato a diventare, o forse è già, un classico da manuale.
Un’estetica squisitamente anni sessanta illumina lo schermo fin dalla prima scena. Colori brillanti e una colonna sonora memorabile. Qualche momento per ambientarci e siamo subito di fronte al primo snodo del film.
Di Caprio e Brad Pitt
Leonardo Di Caprio è l’attore in crisi esistenziale Rick Dalton, Brad Pitt il suo fedele stuntman (e assistente e autista e elettricista sottopagato) Cliff Booth: amicizia e fratellanza obbligata, la loro, in una terra dei sogni realizzati e infranti, delle carriere costruite e distrutte come castelli di sabbia. Piangono l’uno sulla spalla dell’altro, si ubriacano insieme, ricordano i tempi andati e la vecchia gloria di Rick.
Nel caos di una metropoli come la Los Angeles del 1969, ecco la boccata d’ossigeno, lo spiraglio di spensieratezza: Sharon Tate (Margot Robbie bella come una dea) danza, danza sempre, sorride e irradia di luce propria persino la sala buia del cinema che visita per vedere il film di cui è protagonista. Nemmeno Tarantino ha il coraggio di privarci di lei e della sua pancia da gravidanza. I detrattori lo accusano di riscrivere la storia, lui si difende con la semplice messa in scena del bello.
Cinema, my love
Persino l’efferata violenza, da sempre cifra stilistica di Tarantino, vive ora in simbiosi con coreografia e spettacolo, ha picchi epici e sfiora la comicità (Rick Dalton usa all’occorrenza il pratico lanciafiamme che tiene in casa). Virtuosismi, flash-back, fermi-immagine, addirittura un memorabile sguardo in macchina da presa: ogni sequenza di questa favola americana è una deliberata dichiarazione d’amore al cinema, insieme omaggio e riflessione sulle infinite possibilità del mezzo. Non manca l’aperta citazione dello spaghetto-western, un ”cara Italia” con cui Tarantino ricorda quanto il nostro paese, da Federico Fellini a Sergio Corbucci, sia per lui fonte di ispirazione.
Cast eclettico, scenografie mozzafiato, ritmo incalzante e sceneggiatura sorprendente e ricca di episodi stranianti, a prima vista sconnessi (come insegnava un certo Fellini), sconclusionati (come sostengono alcuni). Quentin Tarantino ci immerge in una dimensione onirica che afferra la realtà e la ricopre di vernice fresca, nuova, sgargiante. Ci regala insieme favola e sogno, rischia forse di confonderci, ma lo sa, lo sa eccome. Così ci avverte subito, a partire dal titolo con i suoi puntini di sospensione. C’era una volta…