19-21 settembre 2019, Siena. RadioIULM, con una delegazione di studenti, che collabora al progetto di ricerca sul podcast guidato dalla prof.ssa Gaia Varon, ha partecipato all’ECREA Radio Research Conference.
Di radio si è tanto discusso, ma anche il podcast ha avuto una posizione centrale nei discorsi dei ricercatori giunti da tutto il globo. Quattro i panel che gli sono stati dedicati esclusivamente. Insomma, un oggetto molto studiato, che anche nella scena accademica conquista spazi sempre più grandi.
Ma di cosa si discute? Di produzione, indipendenza e piattaforme. Ma anche di linguaggi, di generi e di possibili scenari.
Oggi il grande motore, il cuore pulsante del Podcast, sono i cosiddetti pro-am, ovvero i professionisti-amatori, che si definiscono professionisti nella pratica, ma amatori nell’anima. IN MEDIO STAT VIRTUS, diceva Aristotele.
L’indipendenza dell’autore, economica, tecnica e creativa viene considerata cruciale per un medium che sussurra alle nicchie, che è fatto per essere, forse, libero (non a caso sceglie il sonoro come linguaggio).
Si potrebbe allora tracciare il profilo tipico del podcaster indipendente. Appassionato, dedito a costruire capitale sociale e simbolico per la sua nicchia, sente di dover fare quello che fa per ragioni collettivo-comunitarie. Rigetta anche il capitale (nonostante spesso monetizzi comunque i suoi prodotti) e adora sperimentare.
L’altro lato della medaglia
Questo modo di guardare alla produzione non è l’unico. Infatti, un grande cambiamento sta scuotendo dalle radici il Podcast: la platformization.
Riprendendo il concetto di Ciclo in Tim Wu, ogni tecnologia passa dal vivere in mercati indipendenti, polverizzati, confusi, a piattaforme chiuse. Il podcast sta correndo proprio in questa direzione. La stessa Spotify, quest’anno, ha speso ben 330 milioni di dollari comprando Gimlet Media, Anchor e Parcast, produttori di podcast.
La domanda diventa scontata: è un bene o un male? Come tutte le cose, pro e contro. Da un lato, la piattaforma organizza i contenuti, ti permette di non perderti nel mare magnum dell’offerta e crea comunità più solide. Dall’altro, la piattaforma è gatekeeper, filtra i contenuti in base a regole che decide autonomamente, influisce indirettamente sulla società ed è sempre tentata di vendersi al dio pagano che sono i big data (vedi Adorno e Horkheimer).
Insomma, gli intermediari culturali, come li chiamava Bordieu, saranno salvezza o rovina del podcast?
Forse l’adagio di Aristotele continuerà a valere, o forse no.