Settimo Cielo in scena all’Elfo con la direzione di Giorgina Pi

Caryl Churchill scrisse “Cloud 9”, tradotto in Italia come “Settimo Cielo“, nel 1979. Margaret Tatcher era appena stata eletta Primo Ministro e nelle strade si parlava di liberazione femminile e sottocultura punk.

Questo è l’ambiente ricostruito all’interno dello spettacolo, in cui l’autrice mette il pubblico di fronte ad una contemporaneità straniata.

Settimo Cielo, teatro Elfo Puccini

Primo atto: 1879, Africa

Settimo cielo si apre nell’Africa del 1879. La scena è animata da una famiglia britannica bianca che propone dei teatrini dall’ironia ostentata. Un capofamiglia con il compito di domare i “selvaggi” per conto della Corona, una moglie succube del paternalismo, un figlio che vuole giocare con le bambole e una figlia che è una bambola vera e propria. Accanto a loro una balia e un avventuriero omosessuali, una suocera petulante e uno schiavo africano.

Ciò che viene a galla dall’ipocrisia vittoriana sono i desideri più profondi dei personaggi, espressi attraverso l’irrefrenabile pulsione sessuale.

Secondo atto: 1979, Londra

Per arrivare alla seconda parte dello spettacolo si fa un balzo spazio-temporale: ci si ritrova nella Londra ai tempi della Tatcher. Le panchine di un parco compongono la scenografia mentre le parole dei personaggi si fanno scabrose.

Il ricorrere di alcuni nomi già presenti nella prima parte dello spettacolo dà l’impressione che non siano passati davvero cent’anni. Nonostante l’aria libertina, ben poco è cambiato dal primo atto. La violenza colonialista è messa da parte, ma la sottomissione femminile e la repressione dell’omosessualità da parte della vecchia generazione persistono.

Oltre le apparenze

Settimo Cielo, teatro Elfo Puccini

Lo spettacolo di Churchill è intelligente e fa del simbolismo la sua più grande forza. Gli attori sono la rappresentazione a nudo dell’identità dei personaggi. Difatti lo schiavo africano è bianco, a indicare il giuramento di fedeltà fatto ai seguaci della Corona inglese. La moglie dell’amministrazione coloniale è interpretata da un uomo: la sua femminilità non è autentica ma una costruzione della repressiva ideologia patriarcale. Nelle coppie eterosessuali gli attori che interpretano i partner sono dello stesso sesso.

L’autrice di “Settimo Cielo” gioca con la dissonanza cognitiva tra ciò che è detto e ciò che si vede. Lo straniamento prodotto ammicca all’esperienza brechtiana e vuole porre lo spettatore in un atteggiamento riflessivo. Dove non è possibile immedesimarsi con i personaggi, l’invito è alla lucidità di pensiero.

Tuttavia lo spettacolo si esaurisce in questa macchinosa teoria, senza riuscire a trasmettere un messaggio preciso e completo. I dialoghi puntano tutto sull’ironia, così anche momenti che paiono più profondi vengono immediatamente collegati con il “non fare sul serio“. È uno schema che inizialmente regge, ma alla lunga si fa pesante e noioso.

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