“Perciò, così parla il Signore: Ecco, io faccio venir su di loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò”.
Questo passo della Bibbia, Geremia 11, 11, è ciò che Adelaide Wilson, una bambina in vacanza nel 1986 a Santa Cruz con la sua famiglia, legge su un cartone tenuto in mano da un barbone. Questo mentre girovagava per il luna park in cui l’hanno portata i genitori per festeggiare il suo compleanno.
Il barbone veggente è uno degli elementi tipici del genere horror che il regista Jordan Peele mette in scena. Della calamità citata nel passo sarà prima testimone la ragazzina, camminando sulla spiaggia della località. Entra infatti ad un certo punto in una casa dell’orrore, ma dopo l’esperienza che vivrà lì dentro, per lei niente sarà più come prima.
Così comincia il nuovo film di Jordan Peele, salito alla ribalta del genere horror con il suo penultimo film, Get out, con il quale ha vinto l’Oscar alla miglior sceneggiatura originale.
Dopo l’iniziale flashback, torniamo al presente con Adelaide, interpretata magistralmente dall’attrice Premio Oscar Lupita Nyong’o, in compagnia di suo marito Gabe e dei suoi due figli, Jason e Zora. Stanno tornando in macchina nella località dove era stata da piccola con i suoi genitori.
Lo fa nonostante, fin dall’inizio, abbia il costante timore che qualcosa di brutto possa accadere a lei e alla sua famiglia. Ha paura per via di ciò che le è accaduto in passato, qualcosa di cui solo lei è a conoscenza e che alla fine lo spettatore scoprirà essere qualcosa di inaspettato.
Conigli, doppi, Apocalisse
Jordan Peele, infatti, gioca con l’intelletto di chi guarda fin dall’inizio, ad esempio inserendo nel film dei conigli. Per quanto elementi non rappresentanti di uno snodo preciso, non possono non mettere a disagio lo spettatore, rendendo la visione ancora più disturbante di quanto non lo sia già.
Alla prima notte nella casa, sul vialetto del giardino della famiglia compaiono quattro figure, tutte vestite di rosso e che si tengono per mano. Quattro figure che, si scoprirà poco dopo, vogliono uccidere la famiglia Wilson. Ma la cosa più inquietante è che questi quattro sono doppi (quasi) identici dei protagonisti. Quasi, per via di ciò che ha differenziato la vita delle due famiglie. L’altra famiglia viene infatti da un mondo parallelo a quello in cui vive la famiglia di Adelaide.
In un’ambientazione che trasmette angoscia e cardiopalmo come poche, con un ritmo carico di suspense, il regista fa del lento e sottile tentativo di sterminio dei doppelganger la base portante del suo film.
Film in cui il doppio è nei personaggi come anche nella doppia lama delle forbici che gli alter ego utilizzano per uccidere, o nei doppi di uno spot che la piccola Adelaide vede in tv nel 1986, Hands Across America. Sono il rimando a qualcosa del quale il regista vuole farci pensare, che ci mostra attraverso dei simboli.
I doppi come la nostra controparte sociale, ma anche come riflesso di noi stessi. Quella che, rispetto alla famiglia borghese dei Wilson, non ha mai avuto niente, se non sofferenza. E che adesso cerca vendetta.
I doppi sono come i conigli. In gabbia o liberi di scorrazzare per i lunghi corridoi dell’altro mondo. Ma a differenza di questi, quando saranno liberi daranno vita ad una apocalisse che per ampiezza ricorda più i morti viventi di George Romero che la limitata area del precedente film di Peele.
Un film che non manca, come Get out, di condurre una dura critica sociale, con alcuni momenti di umorismo, a ricordare che prima di questi ultimi due lavori, Jordan Peele ha lavorato nella commedia per quasi dieci anni.
E un film che tra i suoi plurimi significati, ci ricorda innanzitutto quanto possiamo essere noi stessi, “us”, i nostri peggiori nemici, e che certifica il regista come nuova leva di punta del cinema horror americano.
Adesso al cinema.