Ma ‘sto Cosimo, chi è?
Cosimo è il protagonista de “Il barone rampante” di Calvino.
Un giorno è salito su un albero e da lì non è più sceso. E continua a guardare il mondo da lassù, dall’alto, con gli occhi di un bambino.
Cosimo che parla, straccia, ride, sogna con la consapevolezza che per essere veramente come gli altri, la sola via è cambiare punto di vista.
Citando Carver. Di cosa parliamo quando parliamo di politica?
Interno giorno. Metropol Hotel di Hanoi, capitale del Vietam.
Due tra gli uomini più temuti al mondo (preceduti solo da Putin e Berlusconi) raggiungono il centro della stanza, si stringono la mano e si siedono tra sorrisi e convenienti del caso.
Il ghigno beffardo di Trump che fa un baffo al Joker di Nicholson, e le guanciotte rosee di Kim Jong-un. Uno che se litiga con la dietologa la mattina, il pomeriggio fa saltare in aria mezzo pianeta. Un incontro dalle basse aspettative, dicono gli esperti.
Ora, che le conseguenze di questa déjeuner sur l’herbe possano essere blande è possibile (vd. lo storico vertice dello scorso anno a Singapore). Insomma, alla fine sono due bonaccioni, no?
La Corea del Nord ha solo chiesto aiuto all’Onu per carenze alimentari, ma basta una gita fuori porta a Pyongyang per capire che il clima è sereno. Sereno variabile. Instabile con probabili schiarite.
Ma tranquilli, ci pensa Di Maio.
Non che a casa nostra la situazione sia delle migliori. A prendere in mano la situazione, il Luigino Nazionale. Deciso a far pulizia e riordinare casa.
Una vasta opera di riforma del Movimento 5 stelle inizierà, infatti, nei prossimi giorni con lo scopo di rispondere alle gravi sconfitte che il partito continua a subire nelle elezioni locali.
Ultima, non per importanza, è quella di domenica scorsa in Sardegna. I pentastellati sono passati dal 40 al 9 per cento. Ma tranquilli, ci pensa Di Maio.
È già all’opera. Sta sviluppando insieme ai migliori cervelli del nostro tempo nuovi sondaggi per chiedere agli elettori il loro parere sulle possibili modifiche.
Ci tiene a sottolineare che non c’è fretta. Anche perché, chiariamoci, i veri problemi sono altri. Il televoto a Sanremo, le troppe poche canzoni italiane passate in radio, i neri che vincono gli Oscar.
I Premi Oscar che ormai, diciamocelo, sono mezzi morti.
La 91a edizione dell’Academy Award ha fatto suo il less is more di van de Rohe: nessun conduttore, nessuna parodia, nemmeno un monologo. (S)corretta, afona. Forse perché la rivoluzione, come tutte le grandi cose, si fa in silenzio. E premia donne (in premi tecnici, come mai prima d’ora) neri e messicani.
Tra i tanti il “di viola vestito” Spike Lee che ha ricordato agli spettatori che le elezioni del 2020 sono dietro l’angolo e di scegliere di stare dalla giusta parte della Storia.
Non ha fatto in tempo a uscire dal Dolby Theatre che Trump già gli aveva dato del razzista su Twitter. Lui, Trump, che dà del razzista a Spike Lee. E vabbè.
Cosimo. Consiglia
La Favorita, ultimo capolavoro di Yorgos Lanthimos.
Perché quando parliamo di politica parliamo di quello. Favoritismi, alleanze, strette di mano, baci, abbracci, apparente tranquillità, e sangue, e fango. Sì, fango.