Chi l’ha detto che i giovani non possono scrivere poesie?
Spesso guardiamo alla poesia con un sottile disprezzo: arte incomprensibile, pretestuosamente complessa. I versi ci sembrano tronfi e vanitosi e il pubblico che ci immaginiamo è quasi sempre addormentato.
Giorgia Colucci, studentessa IULM, tenta di sfatare questi pregiudizi. La sua raccolta di poesie “Vorrei mettere il mondo in carta” è stata pubblicata in e-book ed è disponibile all’acquisto a questo link.
Giorgia ne parla della giovinezza, eccome. Cerca di svelare le tensioni generazionali, quei rapporti di odio/amore, morte/vita che abbiamo con gli adulti e gli anziani. A noi/ che proviamo a scorgere in voi/ il nostro futuro passato, dice.
Se dovessi definire la poesia di Giorgia Colucci in due parole, sarebbero confine e nebbia.
Confine perché il viaggio in cui ci accompagna è sempre un insieme di passaggi, mai di pause, di fermate. Il fascino della notte che si rifugia nelle strade e nei tombini per lasciare spazio alla timida alba. L’inverno che apre la raccolta e che diventa l’estate dell’ultimo componimento. Tutto è confine, passaggio ed è in quel momento transitorio che nasce la poesia. Se leggerete Notte, capirete di cosa parlo.
Nebbia perché, assieme a Giorgia, aneliamo all’ignoto. I sogni, l’ispirazione, ma anche il dolore dell’atroce attesa e la perseveranza cieca di chi si rialza sempre. A che serve la poesia, se non a cercare di diradare un po’ di questa nebbia? A indagare i misteri dell’uomo, a superare i limiti delle parole in prosa per arrivare a una nuova conoscenza?
Vorrei/ mettere il mondo/ in carta/ e senza bianchi/ di mie parole/ esser la sarta […] Cerco rime/ per sfuggire/ alla banalità/ (e nulla è più banale che dirlo).
Vorrei mettere il mondo in carta (G. Colucci)
Leggiamo poesia, e scriviamone. È così che impareremo a voler bene alla nostra realtà. Noi, a cui questo mondo deserto/ appartiene ancora un po’.