L’edizione 2018 del contest Giovani Scrittori IULM ha dato alla luce Pelle, l’ennesima antologia di racconti nata in Ateneo per finire sugli scaffali delle librerie (clicca QUI per saperne di più).
Ed ha, il progetto curato dal prof. Paolo Giovannetti, visto partecipi decine di studenti, che hanno messo a frutto la propria creatività nella stesura delle loro storie.
Racconti d’amore, di fantascienza o semplicemente di fantasia: il risultato è una silloge che accontenta praticamente tutti, a partire da chi ha fatto da regista nella sua impaginazione (QUI la nostra intervista ad uno dei curatori).
Per questo Radio IULM – voce degli studenti, prima che radio delle arti – ha pensato di proporre alcuni dei racconti contenuti in Pelle, con una serie di pubblicazioni sul sito che vi accompagnerà per qualche settimana ogni lunedì, mercoledì e venerdì, fino a luglio inoltrato.
Quello che condividiamo adesso con i lettori di Radio IULM è il racconto di Maddalena Marcarini. Si intitola Nabrok e qui sotto in esclusiva tutta la storia. Buona lettura!
NABROK
Fuori piove ancora.
Qui piove sempre, in questa stagione; sono quelle piogge fitte, fredde, tanto insistenti che a un certo punto nemmeno le senti più.
La luce è poca, ma sono comunque accanto alla finestra, per cucire; dagli infissi mezzi marci penetra il freddo, e il grigio, perché questa pioggia ha un suo colore e fa sembrare l’intera stanza di cenere.
Pioveva anche quel giorno, ricordi?
La prima volta che ti ho visto.
E’ stata la pioggia a mandarti da me; tremante e fradicio, tanto ammaliato dal vento ululante e dal mare imbizzarrito ai piedi della scogliera da non essere nemmeno spaventato.
Hai bussato alla mia porta, e anche allora, cucivo. E già sulla soglia confessasti che no, non ti eri perso,non fino a quel momento; ma ora, davanti ai miei occhi, sì.
La trama cede, il filo scorre, e già mi amavi.
Era così bello, quanto mi venivi a trovare, era così bello quando ignoravi le malelingue e correvi da me, sulla scogliera; quella è una pazza, quella è una strega, ti dicevano.
E tu non li hai mai ascoltati. Tu eri un poeta, un sognatore, un’anima ignara che anelava soltanto a me, in questa casa. E parlavamo, e mi guardavi cucire, carezzandomi; la mia pelle ti piaceva tanto.
Così candida, così bianca, dicevi, che ti sembrava di poter vedere il sangue scorrere.
Quando mi abbracciavi, temevi quasi di farmi male.
E quante te ne hanno dette, oh, quante, il giorno in cui comprasti quell’anellino da poco in paese; tu sei un folle, uno stupido, sei caduto in trappola, dicevano.
Non sai che fine fanno quelli che sposano le streghe?
Ma tu, ancora una volta, sei corso da me, e non volevi feste, non volevi invitati; io, però, volevo tanto un vestito.
La trama cede, il filo scorre; all’inizio era un po’ largo… Ho dovuto fare degli aggiustamenti. Ma per fortuna, sono molto brava.
Il vento mi porta l’eco di un vociare, attraverso il muro di pioggia; sembra che qualcuno stia risalendo la scogliera.
La luce ormai è passata dal grigio al bluastro, i miei occhi faticano; ma mi manca così poco per completare il mio vestito.
Confusa dalla penombra mi pungo, ma non ci bado; sento il bruciore sulla punta del dito e ripenso alle tue mani, a come le chiudevi sulle mie, in apprensione, quando l’ago mi sfuggiva.
Perché la mia pelle era preziosa, mi dicevi. Fredda come il ghiaccio, e bianca, così bianca, come mai ne avevi viste.
Stanno venendo a prenderci, amore mio; mi sembra di vedere già torce e forconi, anche sotto la pioggia.
A morte la strega, e a morte il suo sposo! Non voglio che arrivino. Non prima che abbia finito.
La trama cede, il filo scorre, e tu mi guardi, sdraiato sul letto.
Non sbatti le palpebre.
E sorrido, pensando che la mia pelle ti piaceva tanto.
La trama cede, il filo scorre.
All’inizio era un po’ largo, perché sei più alto di me, amore mio, e la pelle è molta di più.
Ho dovuto fare degli aggiustamenti. Ma per fortuna, sono molto brava.
Li sento battere sulla porta, furiosi, spaventati; chiamano il tuo nome.
Ma non importa più, ormai ho finito.
Mi porto davanti allo specchio, per sistemare gli ultimi punti, attorno agli occhi; ti vedo riflesso, alle mie spalle.
Tu mi guardi, sdraiato sul letto.
La mia pelle, che tanto amavi… Devo ammettere che ti dona molto.
Hanno sfondato la porta, ormai sono in casa; salgono le scale.
Indosso i calzoni, e la camicia, e la casacca.
Fermo l’ultimo punto, taglio il filo con la forbice, ed ecco fatto. Il mio vestito.
Finalmente è pronto.
(fine)
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