L’artista comico è una categoria in via di estinzione. Da più di un decennio questo paese, che pure vanta una cultura comica invidiabile – Alberto Sordi, Totò, Benigni, Troisi, Verdone, citando a caso – non sembra essere in grado di dar vita ad una satira intelligente di politica e costume. L’unico modello di risata cui il pubblico pare essersi abituato è quello proposto dalla comicità televisiva. E’ questo un repertorio di pochi minuti (per fortuna), dove pagliacci mal travestiti, alternano alla descrizione patetica di vecchi luoghi comuni, noiosi tormentoni clowneschi.
Ma Edoardo Ferrario è diverso. Classe 1987, romano e stand up comedian naturale. Ha iniziato giovanissimo ad esibirsi nelle cantine romane e dopo aver compiuto gli studi in Giurisprudenza, ha deciso di dedicarsi totalmente alla professione di comico. Lui afferma che è “merito” del suo stato di disoccupato se ha scelto questo mestiere, ma noi vogliamo credere che a portarlo sui palchi di tutta Italia sia stata la consapevolezza di avere un talento fuori dal comune.
L’ultimo suo spettacolo, Diamoci un tono è stato portato a Milano al Teatro Franco Parenti, mercoledì 30 Maggio. Lo show, fedele resoconto della situazione sociale e culturale italiana dell’ultimo anno, presenta due qualità comiche fondamentali: la capacità di far ridere e il talento nello scatenare una riflessione.
L’arte della risata Ferrario la conosce alla perfezione. Il tempo e il ritmo della narrazione sono invidiabili, complice la lunga gavetta compiuta in anni di club, programmi televisivi e una web series sul mondo universitario: Esami (la cito perché geniale, la trovate su Youtube).
Una degli aspetti più divertenti dell’artista romano è il suo trasformismo vocale. Edoardo Ferrario riesce a riprodurre dialetti, inflessioni linguistiche, tic nervosi ripresi dalla gente di strada, senza cadere mai in virtuosismi compiaciuti. Ogni imitazione, per quanto efficace, è usata solo in funzione delle storie raccontate, che sono tante e inedite.
Ferrario trascina il pubblico nel suo personale flusso di coscienza, dove ogni aspetto della realtà viene sondato, analizzato e portato al suo paradosso comico.
Parla della “paraculaggine” milanese, capace di trasformare qualsiasi manifestazione, anche la più mediocre, in un successo economico cittadino. Affronta ironicamente il tema cantanti e la moda sdoganata dal genere Indie di aver fatto del citazionismo una sorta di stile di vita, spesso privo di fantasia. Schernisce gli “s-comici”, così lui li chiama, che si divertono a fare satira religiosa con tono saccente e pretestuoso o affidandosi a stereotipi volgari per raccontare una spiritualità differente dalla propria. Racconta i suoi personali problemi, vizi ed errori e mostra sé stesso senza filtri o trucchi: uomo, prima che buffone, persona, prima che personaggio.
Infine ha il merito di non nascondere la sua visione politica. Sfidando il pubblico a parlare di attualità, Ferrario si dice preoccupato. Ironizza, stavolta con più cattiveria, sul razzismo strisciante nella società e sull’incapacità della sinistra di porre un argine morale e politico all’avanzare di violenza e ignoranza.
I moniti che Ferrario lancia al pubblico sono numerosi e preoccupanti ed invitano al dubbio, suscitano domande sul tempo contradditorio di cui siamo testimoni. Così, tra qualche riflessione esistenziale e un sorriso sornione, usciti a fine spettacolo rimane una certezza: Edoardo Ferrario è dannatamente bravo. E la razza dei Comici non è ancora estinta.