Gli equilibri della politica italiana faticano ancora ad assestarsi. Dal 4 marzo, tra i parlamentari appena eletti ed un mare di Zizzania, proseguono infatti le trattative per la formazione di un nuovo governo. Ma dopo il terremoto elettorale, in Italia è davvero cominciata la Terza Repubblica? La fretta di alcuni commentatori e l’entusiasmo dei leader usciti vincitori dalla contesa all’ultimo voto non bastano certo a chiarirlo.
Molto di interessante ha però detto il prof. Guido Formigoni, docente di Storia Contemporanea dell’Università IULM. Ospite negli studi di Radio IULM (giù il podcast da ascoltare), lo studioso del Novecento ed osservatore delle relazioni politiche internazionali ha dialogato con Achille Cignani ed Enzo Cartaregia alla ricerca del fil rouge che segue l’evoluzione delle dinamiche politiche del paese.
Sulle frequenze della radio d’Ateneo la cronaca si è insomma legata ai lenti, eppure inesorabili cambiamenti di quello che si usa chiamare Storia. Per leggere in maniera meno effimera, con l’autorevole contributo del prof. Formigoni ciò che succede nelle stanze del Quirinale.
Il “viaggio nei fatti, con occhi inconsuenti”, partito da piccanti pronostici su chi comporrà il prossimo governo e immancabili parallelismi con De Gasperi o Andreotti, finisce così alla più seria riflessione sulla nuova età della politica italiana. Chiusa con il (semiserio) contributo di Francesco Fanucchi, questa settimana in onda con “Pensavo fosse amore e invece… era un carroccio”.
Zizzania, puntata del 12 aprile
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Il testo di seguito è un estratto parziale dell’intervista al prof. Guido Formigoni, da riascoltare integralmente al link: https://radioiulm.it/album/zizzania
Prof. Formigoni, si è aperta una nuova fase per il nostro sistema politico. Ma è davvero possibile salutare l’inizio di una Terza Repubblica?
Beh, io sono abbastanza scettico anche sulla Seconda Repubblica, perché è un’imitazione del modello francese di numerare i regimi politici. Anche se in Italia abbiamo ancora la Costituzione del ‘48 e dunque siamo ancora nella Prima e unica Repubblica, dal mio punto di vista. Poi, certamente le varie fasi di cambiamento del sistema politico sono state rilevanti, importanti e significative, però prima di annunciare un cambiamento di regime, anche contingente, userei molta più prudenza.
Dalle sue mani passano centinaia studenti IULM ogni anno. Che sensazione ha, nel tempo, di come cambi il loro modo di rapportarsi alla politica, o quantomeno al momento delle elezioni?
Non è facile dirlo, ma in sintonia coi dati che ho visto recentemente – oltre 35% di diciottenni astenuti – è facile fare un paragone con le generazioni di venti o trent’anni fa, in cui il voto era forse più un rito di passaggio, magari per distaccarsi, per la prima volta, dalla famiglia. Non sono però della visione che vede l’universo giovanile come lontano dalla politica. Anzi mi sembra invece che ci siano dei fermenti di interesse ed attenzione e di certo meno generalizzati che qualche tempo fa. C’è stata una maggiore selettività, questo sì.
Crede sia immaginabile un’Italia che mette in discussione i valori dell’occidente come lo conosciamo, ad esempio i miti di integrazione europea e crescita economica? Può esistere, insomma, un bipolarismo strutturale tra le forze politiche dell’apertura e quelle della chiusura?
La rappresentazione dello scontro politico in Europa, negli ultimi anni, ha molto insistito su questo aspetto: da una parta le forze di sistema favorevoli alla globalizzazione, all’integrazione e dall’altra parte il cosiddetto populismo sovranista. É come se questo tipo di schema riporti delle opinioni oggettive: in Europa ci sono partiti classificabili agevolmente come populisti, che in alcuni Paesi sono anche saliti al governo e questa è una delle caratteristiche dello scontro politico generale.
Poi l’applicazione, dunque, di queste categorie è da trattare con cautela nelle singole situazioni. Per esempio in Italia abbiamo il M5S che indubbiamente è un partito che finora ha mostrato una grande capacità anche di aggirare questa dinamica, tenendo insieme punti di riferimento diversi, accentuando elementi di critica all’Europa dei banchieri. Ma comunque dando segnali di prudenza da questo presunto distacco, tant’è che non si discute più di un possibile referendum sull’Euro.
L’ultima sua fatica è “Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma”, edito da Il Mulino. A 40 anni dal suo assassinio, il figlio Giovanni dice in una recente intervista che il padre “è il fantasma di questa Italia senza pace”. Come interpreta questa frase?
L’omicidio di Aldo Moro è rimasto una sorta di tragedia senza la sua catarsi, poiché non c’è stata una verità percepita come solida su quello che è accaduto in quei 55 giorni. E questo ha assorbito nella memoria degli italiani la stessa figura di Moro politico, ricordato infatti quasi solo per il sequestro e l’assassinio, mentre faticosamente penso sia possibile oggi tornare a studiarlo e comprenderlo anche come una persona che è stata cruciale in una fase a forte tensione evolutiva della nostra democrazia.