Un enigma. Ma perfettamente razionale, per chi ne ha appena tratto un prezioso libretto che racconta cosa “Oro” abbia significato e significhi ancor di più oggi. Per il dott. Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia ed autore di un agile saggio appena edito da Il Mulino, l’oro non è infatti materia esclusiva delle gerarchie finanziarie. Bene “incorruttibile”, sopravvissuto dall’epoca del sesterzio a quella del bitcoin, il metallo giallo è sempre stato simbolo di ricchezza, bellezza, divinità, potere. Ma soprattutto “si lega” – secondo l’autorevole economista – “ad un sentimento ancestrale: la fiducia”. E di oro la Banca d’Italia è il quarto possessore al mondo, attraverso una monumentale riserva di cui Rossi, in libreria, non manca di approfondire la funzione e svelare interessanti aneddoti.
Perché, dunque, l’oro vale oro? E cosa ha da dirci la storia dell’oro, prima di quella della riserva aurea italiana? Scoprilo nel dialogo del dott. Rossi con Achille Cignani ed Enzo Cartaregia, nella speciale intervista firmata Zizzania (giù il podcast da ascoltare), in attesa della sua presenza in Ateneo.
Zizzania intervista il dott. Salvatore Rossi, direttore generale di Banca d’Italia ed autore di “Oro” (Il Mulino, 2018)
Edizione straordinaria, 9 aprile
Mercoledì 11 aprile, alle ore 15.00, l’economista sarà quindi ospite dell’Università IULM. Clicca QUI per scoprire tutte le informazioni relative all’evento in programma in aula 131, coordinato dal prof. Angelo Miglietta e dal dott. Alberto Mingardi. Di seguito, invece, un estratto di alcune domande dello speciale di Zizzania.
Dott. Rossi, in libreria “Oro” sta riscuotendo parecchio interesse. Se lo aspettava, quando ha iniziato a scriverlo?
Non so se me lo aspettavo o meno. Certo, risulta anche a me che ci sia un discreto interesse, come emerge anche dai dati delle vendite. Ad ogni modo l’ho scritto con leggerezza, quasi divertendomi, senza pormi troppi interrogativi. Approfitto comunque per dire che i proventi del libro andranno a me, ma saranno devoluti in beneficenza a Save the Children.
Un saggio, il suo, che può essere letto anche da chi non è proprio un economista.
Assolutamente si. Peraltro questa era anche l’intenzione della casa editrice, che non voleva appunto un saggio per addetti ai lavori ma un libro che potesse riscuotere l’interesse di un pubblico più ampio. D’altro canto questa è la mia personale cifra stilistica: pur essendo un economista di professione, amo scrivere per un pubblico generalista, sempre conservando un rigore basato su analisi molto serie e tecniche.
E’ la collana “Parole Controtempo” a ospitare Oro. Contro la storia il bene “incorruttibile” c’è sempre andato, ma in che modo lo fa oggi?
Oro è una parola al tempo stesso desueta ma molto attuale. Lo definirei un paradosso lessicale, oltre che storico. Nel libro faccio mistero che l’oro sia un enigma. E’ sinonimo di abbondanza, ma al tempo stesso ce n’è pochissimo in circolazione. E’ dura spiegare per quale ragione dopo migliaia di anni ancora rappresenti ancora un elemento universale di fiducia per tutto il genere umano e non soltanto per le banche centrali che lo tesaurizzano nei loro caveau. Chiunque compri qualcosa sotto forma di oro, è convinto di farlo per conservarne il valore. Che cresce, controtempo.
E la fiducia è l’unico bene immateriale di cui parla costantemente la platea degli economisti. L’oro resta un “bene incorruttibile” perché la rappresenta?
Fondamentalmente è così. L’oro ha prevalso nel corso dei millenni, su altri materiali anche per la sua bellezza. Questo spiega, almeno in parte, il successo che ha avuto. Tuttavia si è creata attorno all’oro anche questa convinzione di valore economico, dunque la fiducia che l’oro avrebbe continuato a mantenere il suo valore al di là dei suoi usi in gioielleria o nell’industria. Ecco questa fiducia regge e reggerà sicché l’uomo continui a pensare che così sia.
Fuori dalla demagogia, l’oro di Bankitalia non ha nulla a che fare col debito pubblico italiano. Lo spiega nel libro e negli studi di Otto e Mezzo, ospite di Lilli Gruber, lei ha detto che “affrontare il debito pubblico non richiederebbe lacrime e sangue, ma giusto un rientro che intacchi singole isole di privilegio”. Si fa catastrofismo, quindi, a riguardo?
Il tema del debito pubblico italiano è sicuramente un tema serio. In termini di dimensione è secondo solo al Giappone, che lo raddoppia. Anche in quel caso, se il debito è alto o no dipende dall’opinione di chi lo detiene, quindi dai creditori. Nel nostro caso i creditori sono moltissimi, siamo tutti noi. I risparmi di chi detiene titoli del debito pubblico sono affidati ad operatori professionali, in molti casi: i famosi mercati. Gestiscono i risparmi del mondo, e possono essere colossi ma anche singoli consulenti, che si pongono il problema della sostenibilità, della onorabilità di questo debito da parte di chi lo ha emesso.
Le opinioni nei riguardi dello Stato italiano, nel corso degli anni, hanno oscillato e molti detentori si sono fatti prendere dall’ansia che questo debito non potesse essere onorato. Questo ha fatto si che gli interessi su di esso schizzassero alle stelle. Lo abbiamo visto negli anni ’70, ’90 e anche nel 2011. In altri momenti, invece, la gente si mette tranquilla perché lo Stato italiano lo tiene sotto controllo, il bilancio pubblico è gestito con accuratezza ed è previsto un piano di rientro, sebbene lungo. Dipende.
Mercoledì 11 aprile sarà ospite del nostro Ateneo, in un workshop nell’ambito del corso di Economie delle Aziende e dei Mercati Internazionali. Che valore attribuisce a questo incontro che la attende in IULM?
Un valore molto alto. Intanto perché confrontarsi con studenti universitari, con ragazzi dalla mente fresca di studi e di idee è sempre molto arricchente. Infatti non vedo l’ora di confrontarmi con una platea giovane e anche critica. Ma di sicuro informata ed interessata.
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