Virginia Woolf, una domenica a Milano. L’autrice del movimento modernista inglese fa infatti una visita ideale alla città meneghina nella fiera Tempo di Libri.
Portando con sé un’aria di “girl power” nella ricorrenza della festa della donna.
Nata nel 1882 in una Londra fervente dal punto di vista letterario, la Woolf è ancora oggi ricordata come un immutabile riferimento femminista. Pochi, però, la ricordano per la sua inconfondibile dote nella scrittura epistolare.
Ed a rendere omaggio a questo suo lascito alla cultura, corre a FieraMilanoCity una conferenza moderata da Nadia Fusini ed Emanuela Maisano. Anche chi in precedenza ammirava la scrittrice solo per i suoi romanzi modernisti pieni di follia, ha appunto avuto l’occasione, in fiera, di avvicinarsi la vera Virginia attraverso la sua stessa voce, le sue stesse esperienze quotidiane, le relazioni con le persone a lei più care.
La giornata internazionale della donna è stata così coronata dalle impeccabili letture di Maisano tratte dalla raccolta di lettere – dal 1896 al 1912 – “Virginia Woolf: ritratto della scrittrice da giovane”, edito in Italia da Utet.
L’epistolario di Woolf è allora un’opera d’arte in sé. Come riportato dagli amici stessi dell’autrice inglese, questa veniva spesso paragonata a Madame de Sévigné, aristocratica seicentesca ricordata per la sua sublime capacità di produrre arte in semplici corrispondenze epistolari. Al riguardo, Virginia sostiene che “[gli amici] dicono così – che vincerò la palma dell’immortalità come scrittrice di lettere – perché non vogliono riconoscermi come il grande scrittore che se non sono, diventerò; perché vogliono ‘diminuirmi’”.
La Woolf, pur forse inconsapevole del valore delle sue lettere, nutre un forte interesse per questa scrittura. Questa forte passione emerge proprio nella raccolta presentata a Tempo di Libri. Qui viene dipinta un’immagine di Virginia ancora come una Stephen e non, come definisce Nadia Fusini nel saggio introduttivo all’epistolario, “donna del Lupo”.
Negli anni in cui intercorrono queste lettere, incontriamo così una Virginia Stephen che sta ancora soffrendo per le diverse morti all’interno della sua vita: la madre, la sorellastra, il padre e quella più inattesa e inaccettabile del fratello Thoby. Tutto ciò la porterà fino alla follia, spettro che circola in famiglia. Però, come lei stessa riporta in due lettere all’amata e amante Violet Dickinson, ci saranno dei momenti di guarigione.
Nella lettera del 23 settembre 1904 scrive infatti: “sarai contenta di sapere che la tua Sparroy si sente ormai un uccello guarito. Credo che finalmente il sangue arrivi al cervello”; oppure, in quella del 14 gennaio 1905, “son libera, guarita! Non è uno scherzo!”. Interessante è la relazione tra quest’ultima e Virginia Woolf: Nadia Fusini, infatti, colglie l’occasione per porre l’accento sul fatto che queste lettere siano testimonianza di un rapporto ricco di passione tra le due donne; al contempo, però, Violet fu anche una figura materna per la giovane Stephen, la quale rimase orfana dalla madre alla tenera età di tredici anni.
Ciò nonostante, l’epistolario rivela come la scrittrice sia riuscita a portarsi avanti nella vita, sia personalmente, sia nel mondo della lettatura. Nelle sue innate capacità di scrittura epistolare, intuiamo un modello di comunicazione ardente e fremente, che sarà ripreso all’interno del suo linguaggio romanzesco.
Tuttavia, sa benissimo che le lettere non sono letteratura e che la bellezza della scrittura epistolare sta nella naturalezza del linguaggio e la fluidità dei sentimenti. Ed è esattamente questo che – si scopre a TdL – ricerca nel suo processo di scrittura narrativa, scrutando una parola che nasce come un’eco dell’ascolto della vita.
Alara Aydin